La relazione con il paziente, vista con gli occhi del Farmacista e del Medico, ha le sue complessità e le sue variabili da gestire. In questo articolo condividerò con te alcune evidenze scientifiche che ci spiegano un fenomeno interessante legato ai cosiddetti Bias cognitivi.
Quali sono le conseguenze di un’errata comunicazione da parte delle due figure? Se il farmacista non comunica bene perde la fiducia del paziente anche come cliente; se il medico non comunica bene, avrà un paziente che non aderisce alla terapia e non migliora.
Ma non finisce qui. Al medico è richiesto anche di saper comunicare una diagnosi (e non sempre è facile farlo in area oncologica), ottenere dal paziente il consenso per un intervento chirurgico o peggio saper comunicare cattive notizie.
Pensando alla comunicazione tra medico e paziente voglio centrare l’attenzione su come la mente viene influenzata da meccanismi propri che distorcono la vera interpretazione oggettiva della realtà. Mi spiego. Dobbiamo innanzitutto considerare che spesso la relazione medico-paziente è piuttosto complicata poichè un individuo si trova a doversi affidare e fidare di una persona a lui sconosciuta che gli espone una serie di argomentazioni al di fuori delle sue conoscenze; ciò comporta che il paziente si ritrovi a fare delle scelte per la sua salute nonostante non possieda il set di conoscenze adatto a valutare la situazione e le possibili conseguenze delle sue scelte.
L’affidarsi del paziente al medico e il fatto che possa seguire le sue indicazioni, dipende non solo dalle competenze che questo gli riconosce ma anche dall’impressione che riceve dalla relazione che si instaura; infatti un paziente non in grado di fidarsi e non al corrente delle giuste informazioni, rischia di interrompere la terapia o di aumentare o diminuire i dosaggi in maniera autonoma.
Nella costruzione di questo rapporto è importante la comunicazione e il come le informazioni vengono veicolate ed esposte al paziente. A dimostrazione di ciò sarà bene citare un esperimento condotto nel 1982 da Tversky e collaboratori.
Lo scopo era proprio investigare come la diversa presentazione di informazioni riguardo delle terapie potesse influenzare la scelta tra due opzioni. Ai fini dell’indagine sono stati selezionati tre gruppi campione: degli studenti laureati in statistica, dei pazienti e dei medici. Ai soggetti è stato detto che avendo un cancro ai polmoni operabile era possibile scegliere tra due terapie: un intervento chirurgico oppure la radioterapia. I gruppi hanno ricevuto gli stessi dati, la differenza stava nel modo in cui i trattamenti venivano identificati e in come le conseguenze venivano descritte, in termini di aspettativa di vita o mortalità. I questionari sono stati quindi consegnati con quattro diverse formulazioni: il primo faceva riferimento alla mortalità, indicando i trattamenti come A e B; il secondo faceva riferimento alla mortalità ma indicando i trattamenti come radioterapia e chirurgia; il terzo ed il quarto si riferivano alle aspettative di vita segnalando i trattamenti come A e B in un caso e come operazione chirurgica e radioterapia nell’altro. L’intervento chirurgico aveva il miglior prospetto di sopravvivenza a lungo termine al costo di un maggior rischio di morte immediato rispetto alla radioterapia.
I risultati di questo test hanno fornito importanti informazioni: in primo luogo è venuto alla luce che a parità di dati la radioterapia è stata scelta molto meno quando identificata rispetto a quando era definita con il termine B. Questo ci indica che nonostante l’inconsapevolezza siamo vittime di bias che derivano da preconcetti e credenze. Inoltre, la differenza nelle scelte mostra come la presentazione dei dati sia rilevante al fine della selezione di un trattamento, nonostante il questionario sia stato sottoposto anche a medici ed esperti di statistica non c’è una differenza significativa nei risultati, tutti sono stati vittima del framing.
Il framing è un tipo di bias che ci porta a valutare qualcosa non rispetto a dati oggettivi ma rispetto a come questi dati ci vengono presentati. Cosa si dovrebbe fare allora per evitare che ciò accada? Innanzitutto, la prima fase di debaising avviene fornendo le corrette informazioni al paziente per far sì che egli demolisca le sue credenze precedenti e non si affidi ad un pregiudizio inconscio. Inoltre, è fondamentale spiegare al paziente le terapie mettendolo a conoscenza non solo dei dati oggettivi ma anche utilizzando vari metodi di presentazione, come nel caso analizzato in cui ci si rifaceva alla mortalità ed alla aspettativa di vita. Questo fa sì che il paziente sia pienamente consapevole della sua scelta evitando situazioni di incertezza e di dubbio dovute a bias e ad informazioni accessorie o poco esplicative.
Per la collaborazione a questo studio ringrazio anche la nostra collaboratrice dott.ssa Gabriella Zuccarelli.